Le donne

Col corredo di sì diverse personalità del gentil sesso, non era possibile tacere circa li loro caratteri. E son queste, umane, ultraterrene, ricche, povere, perdute e sistemate, in pace e in guerra, ognuna con le sue macchie, sieno esse di sangue, di tradimento o di lacrime.

Inamia, la giovine nobildonna, vissuta com’è sempre ne la su’ torre d’avorio, florida di ricchezze e di bei tessuti. Paréa più giovine de le altre de la su’ età, ché mai avéa avuto preoccupatione alcuna e sempre avéa beneficiato de le cure massime, unica rampolla, dapprima de la su’ famiglia, poi de lo su’ marito e indi de li su’ amanti, dacché ebbe initio la funesta guerra. E paréa più giovine non solamente per la sua facie e lo su’ portamento, ma anche per lo su’ modo di parlare, con voce flebile ed amabile, e lo su’ sguardo limpido, sì che s’avesse subito a comprendere come mai ella avesse né veduto, né tammeno vissuto le asprezze de lo mondo, che sempre hanno a taglieggiare lo homo ne l’anima e ne lo spirto. Non carestia, non malattia, non spada avéan mai segnato lo su’  volto, e su le su’  lisce guance, su le su’ bianche braccia, chiara risplendéa la luce de lo iorno. Ella avèa scientia di musica e di poesia, furo sui studii su la natura e le scientie de la casa e d’ogne cosa che a fanciulla conviene. Ma, nonostante este scientie, tuttavia, cui ella s’era dedicata alquanto, i più mai l’avrebbero additata come donna di sapientia, ma semmai come donna ch’avesse in tutto timore grave de la solitudine che pure è destino de li mortali. Sarìa forse per codeste mollezze e codesti lazzi, ch’ella, pur sì inesperta de lo mondo e pur sì estranea ad esso, ch’ella sia stata bersaglio d’attenzioni ed amori da li più disparati homini? Ché codesto interesse nulla ha di rationale, se non curar li impeti de lo corpo che tutto travolgono.

La sacerdotessa di Phemia, ch’era donna iovine e gracile, ma temprata da la disciplina assai complessa de lo su’ sacerdozio, ch’avéa a richieder voti assai severi, fu figura prominente in virtù d’esta santità. Ella s’era initiata appena a lo su’ undicesimo anno d’età ad esti culti, seguendo con diligentia le usanze che convenissero e li insegnamenti de la su’ cerchia sacerdotale, sempre assai rispettata in Phemia per li saggi consigli ch’avéa elargito senza cupidigia. Giunti a la grave guerra ed a li gravi conflitti che s’apriro ne lo spirto di Algon, reggente di Phemia, e ne le anime di quella città, corrose invero, ella potette aprir la su’ scientia e con essa travolgere la potenza accidiosa de lo demone Anve, ché già era la sacerdotessa su le vette de la su’ casta. D’aspetto fragile, molto amata per le su’ scientie e la su’ infinita fede e spiritualità, casta e di spirto remissivo, avéa occhi che non esprimessero superbia, ma avessero lume d’umiltà e di ingenuità e fiducia ne li su’ convincimenti, era rispettosa de la parola altrui, ma mossa da fede e forza di spirto non comuni, sì che pur con  li sua modi di fare timidi e respettivi ebbe a farsi ascoltare da lo massimo generale di Petreia, lo Capitano Conte, e lui ed altri ebbe a muovere ne la su’ sfida contra li spiriti arcani, come se este pedine, ragguardevoli invero, fussero stregati da la gentilezza d’ella fanciulla. Codeste mosse ebbero a cacciar Anve, pur senza annentarla, liberando Phemia da lo su’ reggente, distrutto oramai ne lo spirto e ne l’anima, e da l’accidia cui era precipitata, per riportar quella immane ed antica città a li su’ antichi fasti.

Anve, spirto arcano pernitioso troppo, è demone d’accidia e di lussuria, che tutto corrompe e rode con le su’ promesse d’infiniti godimenti. Le nebbie de li su’ piaceri son dense sì da porre l’homo più retto in dimenticanza de li su’ doveri, annientando ogne respetto per este usanze che li homini si son dati, poiché a nulla valgono contro essa l’amor de la propria terra, l’amor de li propri famigliari, né ogne altra rettitudine. E, benché fusse stata ricacciata ne l’empio abisso da cui essa era sortita, Anve avéa a tempestar lo mondo con li su’ infiniti e pernitiosi dardi sanguinari d’amore e morte, ché con esti due stravolgimenti si burla de li homini. Avéa tuttavia rinvenuto la più breve via per far ritorno ne lo mondo de li homini ne lo spirto accidioso per natura de lo reggente Algon, che di tutto fu scientiato finché visse, fuorché di intelligentia e politica. Le su’ scientie civiche furo infatti scarse, e in quella tabula rasa ch’era s’insediò l’avvelenamento di Anve, che tutto arse ed invase, ponendo l’animo umano di quelle terre ne la conditione di nulla essere, fuorché pigro e nullificato. In codesto siffatto orrifico slancio, ché paréa infatti non richieder altro se non lo disfacimento, l’accidia e la lussuria, nulla ad ella furo mai d’interesse le ricchezze e le ambitioni di cui l’homo si cura. Ella infatti con vane paroli dulci come lo miele sapéa insinuar ne lo homo la dubitazione su ogne cosa ch’ei avesse pria rispettato, avéa ad esigere lo medesimo tributo, che per essa mai li mortali avrebbero potuto ad esimersi da lo pagare: disprezzando massimamente lo potere mortale de li homini e le lor miserie, anteponéa a l’ambitione, a lo potere militare, a lo sangue, la viltà, a lo tradimento, i dolci doni che sapéa offrire, che in tutto per ella son superiori. Lo su’ motto, inciso a caratteri di fuoco e sangue, era: “Chi a l’amore volle mischiare l’onestà?”

Alta fu persona di gentile e bello spirto, forte ne l’avversità ch’ella affrontò sin da la più tenera età ne le campagne di Tristania, ove perse li su’ genitori. Indi, con la su’ fortitudine di spirto, ebbe l’ardire di far da cantinera ne l’essercito de lo su’ regno, finché non ebbe a trovarsi ne li gravi sconvolgimenti ch’ebbero a tormentar la su’ terra in quella pernitiosa guerra civile. Benché d’animo gentile, non ebbe mai a temere la vita militare, e con le altre cantiniere, supporto silentioso ma essenziale d’ogne impresa bellica, ebbe a seguir la guerra ove essa andasse, fosse essa di difesa o d’aggressione. Pur vivendo in ambienti siffatti, ove lo pugno e la mascolinità fan da padroni, ben visse di proprio agio tra li padiglioni de lo su’ essercito, ora presenziando a lo matrimonio tra qualche sua amica vivandiera con questo o quel guerriero, ora trasportando e preparando le vettovaglie per quelli homini che combattevano, ora prestando soccorso a li feriti dopo li scontri su lo campo. In questa vita ella ebbe a conoscer colui che fu sempre lo su’ homo, lo guerrier di ventura Oltremare, homo d’arme e di liuto, ed a lui sempre fu fedele e sempre lo seguì, sì come s’avesse trovato in esto homo un nuovo essercito da supportare. Ma la su’ fedeltà a lo su’ sposo, benché travolgente sì da portarla lungi da la su’ terra natìa, mai le fe’ dimenticar l’amore per lo regno ch’avéa dato li su’ natali.

Una donna senza nome, ignota lupa d’un postribolo in un canto sperduto d’un feudo dimenticato, forse fu uno de’ pochi amori che Brezzadombra ebbe a provare pe’ una donna. Quello sguardo malinconico e freddo scaturìa da un volto scarno e marmoreo, scalfito d’un taglio oramai divenuto parte de le ferite che lo tedio avéa inciso in quell’animo un tempo innocente. Lo su’ corpo snello e bianco si movéa leggero in un ondulante veste che le carezzava i fianchi, ed esto incedere mesto e distratto rendéa la su’ figura eterea e martoriata ne l’istesso tempo. Che furo li su’ capelli mossi o quell’andatura a colpir l’occhio del mercenario in fuga non ci è dato sapere, ma ei avrebbe per sempre recordato quella sola notte ne la quale li lor due spirti in fuga avéano avuto incontro e s’eran dati battaglia. La disincantata, soave voce de la donna accarezzava l’orecchie di chi l’avesse udita. Le su’ note assai fugaci a tratti ostili fecer breccia ne l’anima de lo guerriero, che vedéa in quello spirto, femminile e tormentato, l’etterna su’ lotta contra tutte le cose de lo mondo da le quali avéa dovuto ora fuggire o combattere. La donna era in fuga, ché un homo che di lei non era degno avéa un tempo fattole sfregio, e lei di lui s’era vendicata con gesto sanguinario, e dalla su’ terra s’era volta in fuga per non subir la grave pena destinata a colei che ha ucciso lo su’ marito, e quella notte scontravasi con quel guerriero il cui volto stanco narrava di imprese, di sangue e di terre lontane. Benché ella avesse dispregio per tutte le cose li homini, che versassero sangue per l’effimera ricchezza mortale per la quale ci s’affanna, e tutto toglie con fumosa strage invisa a le madri e a le mogli, lasciò che lo su’ animo s’avvolgesse de la sconosciuta storia de lo guerriero di ventura, ne la cui fuga e ne la cui solitudine ella rivedéa la propria. Tale fu esta donna, li cui freddi occhi celavano un caldo ascosto mare incandescente, drieto la cui veste ondulante si celavan ricordi dimenticati d’una vita svanita, tale fu l’amore sfuggente e così etterno che unì i due amanti, sì lontani, sì vicini.

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Brezzadombra di David Mattia Prisco Zaccagnini è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 3.0 Unported.